Pettole e melodie di Santa Cecilia: echi Natalizi a Taranto

La ricorrenza di Santa Cecilia, il 22 novembre, apre le porte al Natale tarantino, il più lungo d’Italia, a suon di cornamusa e frittelle tipiche chiamate “pettole”.

È la notte di Santa Cecilia e, come di consueto, prima di cullarmi tra le lenzuola mi accerto che tutti gli armadi siano accuratamente chiusi e che nessuno spiraglio di luce trapeli dalle persiane. Quando riposo non tollero né la luce, né le ante aperte. Nemmeno leggermente socchiuse. Detesto poi che qualcuno mi svegli aprendo le finestre. Il risveglio è un momento sacro, delicato.

Ma questa notte è speciale, è diversa. È il preambolo del Natale in una città che fino a poche settimane fa era vestita d’estate, che non vive l’autunno, che è sempre titubante sull’arrivo dell’inverno. 

Taranto sa che dal giorno di Santa Cecilia deve cambiare abito: iniziano le feste

E, anche per me, il risveglio all’alba è più dolce.

Dettaglio di un uomo della banda tarantina che suona la tromba
crediti foto: canva

Mi sveglio infatti al suono delle pastorali. La banda intona sotto casa la sua benedizione con “Tu scendi dalle stelle”.

Mi alzo inebriata dal profumo delle pettole che sfrigolano nell’olio bollente. Osservo mia madre che le tuffa in pentola, al suo fianco un gruzzolo di “frittelle” ad asciugare, ancora fumante.

pettole fritte ad asciugare su carta assorbente
crediti foto Marialaura Pompilio

Le pettole andrebbero offerte ai musicisti, come vuole la tradizione.

Le radici di questa insolita usanza risalgono ai pastori d’Abruzzo che, durante la transumanza, giungevano nella nostra terra con le loro greggi, muniti di zampogne, ciaramelle e cornamuse e suonavano per i vicoli della città. In cambio delle loro dolci melodie, dai balconi della città vecchia le donne offrivano le frittelle di pane

Ancora oggi il complesso bandistico attraversa le vie di Taranto dalle tre di notte eseguendo le tipiche canzoni pastorali natalizie in onore della patrona della musica, Santa Cecilia appunto.

Inizia così la mia colazione preferita, assaporo una soffice nuvola di pasta fritta e mi imbratto la bocca di zucchero: sono una bambina felice e beata. “I’ cuscin’ du Bambinell”, le chiamano così, per sottolinearne la morbidezza.

Sì, oggi  cominciare la giornata è  inaspettatamente più piacevole. Un’atmosfera festosa alimenta il desiderio di deliziarmi con altre varianti di questa tipica delizia per merenda: dalle pettole al baccalà, passando per le pettole alle acciughe pomodorini e capperi, fino a quelle al parmigiano e cozze crude.

crediti foto Marialaura Pompilio

Di pettole ne esistono, infatti, sia dolci che salate e hanno una curiosa origine legata a un errore commesso da una casalinga durante la festa di Santa Cecilia.

Affascinata dalla musica degli zampognari, la protagonista dimenticò l’impasto del pane a lievitare troppo a lungo. Al ritorno a casa, improvvisò il salvataggio della sua “massa” (l’impasto di acqua farina e sale) scaldando l’olio e immergendo delle palline di pasta ormai inutilizzabile per il pane.

Nacquero così le pettole: un successo immediato tra i figli di questa donna distratta, ma creativa che, ispirata dalla parola dialettale “pitta”,  la tipica focaccia tarantina, le battezzò “Pettel”.

Questo piatto innovativo fu offerto agli zampognari per ringraziarli della loro musica avvolgente, e da allora le pettole divennero una prelibatezza irrinunciabile nella nostra cucina tarantina indissolubilmente legate alla notte del 22 novembre.

Mi piace pensare che è questo legame che le rende uniche, rispetto alle altre varianti delle province pugliesi: sono ricche di storia, musica e poesia.


Ne rubo ancora una dalla teglia prima che mia madre vi sparga lo zucchero, è semplice, la più povera, ma ha il sapore di casa, il più buono del mondo.

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Marialaura non è una cuoca e non è laureata in scienze enogastronomiche. È un po’ quella pecorella nera che dall’arida finanza lussemburghese riversa la sua creatività e il bisogno di emozionarsi davanti a del buon cibo. Perciò, tra i freddi numeri con cui lavora, lei predispone, in maniera totalmente innata, la sua quotidianità all’insegna di piatti e posti nuovi da provare, di ristoranti in cui sentirsi a casa, di luoghi e storie da raccontare, risvegliando quel desiderio di condivisione e di trasmissione del bello che la sua terra, la Puglia, le ha insegnato.

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