Quando si torna da un viaggio, sono spesso dei particolari sapori o degli specifici piatti a rievocare in noi il ricordo vivido di quell’esperienza. Ripensare all’aroma del caffè filtrato, alla piacevole sorpresa provata nello scoprire un altro lato di questa tanto amata bevanda, traghetta i miei pensieri alle Hawaii.
Il potere del cibo di richiamare alla mente dei momenti di vita.
Uno dei lati affascinanti del viaggiare è entrare in contatto con una cultura diversa dalla propria e con un paesaggio differente; quando il territorio e la civiltà di riferimento cambiano, a mutare con loro sono anche il cibo e le bevande, le usanze ad essi legate, il patrimonio culinario e le materie prime a disposizione.
Tutto ciò implica un ecosistema a sé, fatto di ricette, tecniche di preparazione, spezie, sapori e abbinamenti, pronto a colpire il nostro palato e a farci scoprire “il diverso” da noi.
Il cibo ha un forte impatto emotivo, crea gioia e traccia racconti del nostro vissuto.
Per questo motivo, può capitare che, quando rincontriamo un alimento o una bevanda specifica, così anche quando ne proviamo una qualche variante, la nostra mente automaticamente risalga la scala dei ricordi.
È così che un sapore funge da tramite e fa riaffiorare tutta una serie di immagini e di situazioni vissute nel luogo dove quel gusto lo abbiamo incontrato per la prima volta.

La bontà del caffè filtrato, una scoperta fatta alle Hawaii.
Le Hawaii sono un arcipelago circondato dall’oceano, una terra dove le onde, gli animali marini, le montagne e le foreste tropicali sono i veri protagonisti di uno spettacolo, che almeno una volta nella vita andrebbe visto.
Penso sia normale che ci si aspetti che i ricordi dei momenti golosi, in quella terra così “esotica”, includano pesce freschissimo mangiato in spiaggia, magari accompagnato da un drink di frutta esotica.
Il fascino della memoria, però, è che non segue i percorsi più ovvi.
Nel mio caso, quando chiudo gli occhi e cerco di ricongiungermi con le vibrazioni emotive e fisiche provate durante la permanenza lì, mi sembra di avere in bocca l’avvolgente e delicato sapore del caffè filtrato, altresì chiamato caffè americano o drip coffee.

Un altro lato del caffè.
Da “triestina doc” per me il caffè è sempre stato “il nero”, modo tutto nostro usato per ordinare un espresso al bar.
Stiamo parlando di un caffè ristretto, cremoso, solitamente caratterizzato da una tostatura medio scura; si beve bollente ed è definito da un aroma amaro, anche se in base ai gusti questa sua caratteristica viene mascherata con una notevole dose di zucchero.
Un altro must per i miei concittadini è il “capo in b”, ovvero un macchiato con una buona percentuale di schiumetta, servito nel bicchierino di vetro.
Tutto ciò che riguarda la preparazione di un caffè in una tazza più grande di cinque centimetri e, neanche a dirlo, con l’aggiunta di una buona dose d’acqua, per la maggior parte degli italiani è considerato un’eresia, a prescindere.
Alle Hawaii ho assaggiato l’assaggiabile e, grazie a ciò, ho rivalutato molte cose, tra cui la mia concezione decisamente limitata del caffè.
Di norma in Italia il caffè è un genere di prima necessità, fondamentale per tirare avanti nelle nostre infinite giornate; eccetto quello di moca, si prepara in mezzo minuto e si ingurgita in qualche secondo, neanche fosse uno shot.
Alle Hawaii, invece, il caffè viene inteso come una bevanda pregiata, servita in grandi bicchieri o tazze.
Richiede il suo tempo per essere preparato prima e assaporato poi, in modo da poter gustare tutte le sfumature di sapore che si presentano al palato, sorso dopo sorso.
Una caratteristica del loro caffè è che tende più all’acidulo che all’amaro, notizia che potrebbe lasciare perplessi, ma parlando con un esperto, ho scoperto che l’acidità è un importante indicatore di qualità, che incide sul grado di freschezza che critici e degustatori assegnano al caffe dopo l’assaggio.

I coffee shop alle Hawaii.
Spesso succede di associare automaticamente il termine coffeeshop ai locali olandesi, dove è permesso consumare vari tipi di cannabis, ma alle Hawaii, e nel resto del continente americano, coffe shop è il termine usato per indicare ciò che per noi è un bel bar.
Perché bel bar? Perché i coffee shop che ho avuto modo di vedere alle Hawaii sono luoghi molto curati, dotati quasi sempre di un giardino, se si trovano in città o in paese, oppure di una terrazza affacciata sull’oceano se sono sulla spiaggia.
Quasi sempre possiedono un angolo dedicato alla pasticceria, dove fragranti e profumatissimi cinnamon roll, morbidi plum cake e colorati cup cakes fanno un’allegra figura.
Hanno anche una cucina che, a fasce orarie, propone i famosi avocado toast, pancakes, french toast, insalate al salmone e tante altre fresche e saporite proposte adatte a un pranzo leggero o a un abbondante brunch. Sono luoghi di ritrovo di studenti, colleghi, amici e innamorati.
Il caffè tipico da quelle parti è il cosiddetto caffè filtrato, comunemente chiamato caffè americano.
Nei coffe shop hawaiani di solito hai in bella mostra diverse tipologie di caffè in chicchi che vengono macinati al momento dell’ordinazione e sul menù ne puoi leggere le caratteristiche a livello di aromi e sapore.

Interno di un coffee shop alle Hawaii – foto Canva 
Terrazza vista mare di un coffee shop alle Hawaii – foto Canva
Lo sapevi che…? Tutte le attenzioni necessarie per ottenere un caffè filtrato di qualità.
Ci sono vari strumenti che, pur presentandosi e funzionando in modo leggermente diverso, sono accomunati dal sistema della filtrazione, che presuppone che il caffè venga posizionato in un filtro e gradualmente gli venga versata dell’acqua bollente: così facendo l’acqua gocciola lentamente nella brocca sottostante portando con sé aromi e il colore del caffè.
Vittime di stereotipo, la maggior parte di noi è solita ad associare il caffè americano a una bevanda annacquata dal sapore indefinito e preparata con caffè mediocre e macchinetta elettrica.
La maggior parte delle persone non sa che, in realtà, la preparazione del vero caffè filtrato richiede una serie di attenzioni e grammature precise affinché il risultato sia degno di quello che si assapora normalmente in America.
Esistono diverse tipologie di filtri che in base alla forma e al materiale permettono il passaggio di una maggiore o minore quantità di microparticelle, influendo così sull’intensità finale della bevanda.
Per preparare un buon caffè americano è consigliato utilizzare caffè a tostatura chiara o media, è consigliabile macinarlo al momento della preparazione scegliendo una macinatura media.
Secondo gli esperti, affinché il suo sapore spicchi al meglio, bisognerebbe usare 6 grammi di caffè arabica ogni 100 ml di acqua, che deve avere tra i 92 e i 96 gradi.

Caffettiera elettrica per filter coffee – foto Canva 
Caffè a macinatura media nel filtro di carta – foto Canva 
Caffettiera Chemex – foto Canva
Caffè originale delle Hawaii?
Nei coffee shop vengono proposti molteplici caffè caratterizzati da varietà, tostatura, e provenienza differenti; in alcuni casi si ha la possibilità di trovare anche del pregiato caffè locale.
Una zona famosa per la produzione di ottimo caffè è la regione di Kona a Big Island, chiamata anche isola di Hawaii, la più grande dell’intero arcipelago.
Il caffè di Kona cresce su un terreno particolare e molto fertile, perché siamo nei pressi delle pendici del Mauna Loa, il vulcano attivo più grande del mondo.
Solitamente viene coltivato il Typica, un famoso ceppo della varietà Arabica, caratterizzato da note cioccolatose peculiari della varietà, ma arricchito da un lieve aroma di frutti tropicali, dovuto allo specifico territorio di provenienza.
Kona coffee
Il Kona coffee è particolarmente costoso non solo per l’alta qualità, ma anche per la piccolissima quantità che vi è a disposizione sul mercato; il che è dovuto sia alla ristretta area di provenienza, sia al fatto che si tratta di una produzione estranea alle piantagioni industrializzate. Viene prodotto in piccole farm, solitamente gestite a livello familiare, perfettamente in armonia e nel rispetto della natura circostante.
Stiamo parlando di un caffè caratterizzato da una tostatura non troppo scura, che permette di ottenere un prodotto profumato, equilibrato e delicato, privo del finale amaro a cui noi siamo tanto abituati.
Affinché la sua naturale dolcezza e la sua lieve e piacevole acidità vengano percepite al loro massimo, per preparare questo pregiato caffè è preferibile usare strumenti tramite quali viene estratto secondo il metodo della filtrazione, sconsigliato quindi l’espresso.

Cosa si scopre sulla produzione del caffè visitando una farm.
Alle Hawaii i farmers’ market sono la perfetta occasione per stare a stretto contatto con i produttori locali, e chiaccherando ho scoperto che la maggior parte delle farm di cioccolato, noci di macadamia, e caffè, tre produzioni molto diffuse alle Hawaii, hanno l’usanza di aprirsi al pubblico per qualche giorno all’anno.
Grazie al contatto con uno studente universitario di botanica, sono stata accompagnata in una coffee farm di O’ahu, l’isola principale dove vi è anche la capitale Honolulu.
Durante questa interessante esperienza, ho potuto osservare il lavoro in piantagione da vicino: sentire gli odori, tastare le consistenze e farmi mostrare le varie fasi di produzione.
Mi è stato spiegato che la lentezza e il fattore umano sono due preziose fonti di qualità nell’intero processo; infatti, le drupe del caffè, o ciliegie, vengono fatte maturare naturalmente rispettando i loro tempi e raccolte a mano, senza l’ausilio di macchinari, nel momento giusto, accuratamente scelte da occhi e mani esperte.

Una volta raccolte, viene fatto un ulteriore controllo, vanno messe in acqua dentro a dei recipienti e quelle che galleggiano vengono eliminate, perché sintomo di difetto nel chicco.

Messa a mollo delle drupe di caffè per l’eventuale eliminazione di quelle che galleggiano. – crediti fotografici Mario Stock 
Controllo al tatto di eventuali difetti della drupa del caffè – crediti fotografici Mario Stock
Le fasi successive dipendono dalla scelta del metodo: naturale o lavato. Nel primo si prosegue con un’essicazione all’aperto, di tutta la drupa, alla luce del sole; mentre nel secondo si usa una macchina depolpatrice per separare i chicchi che in seguito vengono fatti fermentare, per poi essere essiccati in apposite stanze.
Nella farm che ho visitato, però, il processo è particolare, perché si tratta di un mix dei due metodi, ovvero è prevista una fermentazione come nel “lavato”, ma le drupe non vengono spolpate prima, la separazione del chicco dai materiali di scarto avviene solo alla fine del processo, dopo l’essicazione, come nel metodo naturale.

Drupe di caffè Arabica messe a fermentare, Maunawili Coffee Farrm. – crediti fotografici di Mario Stock 
Contenitore per la fermentazione anaerobica, dotato di valvola che estrae l’ossigeno. – crediti fotografici Mario Stock 
Drupe essiccate dopo la fermentazione. – crediti fotografici Mario Stock 
Utilizzo del macchinario per separare i chicchi di caffè dal resto della drupa secca e dallo strato gelatinoso chiamato pergamino. – crediti fotografici Mario Stock 
Materiale di scarto dopo aver separato il chicco. – crediti fotografici Mario Stock
Vista la particolarità di questa scelta produttiva, per facilitare la penetrazione del lievito durante la fermentazione, la Maunawili Farm utilizza un enzima proveniente dall’industria del vino.

Lieviti che vengono aggiunti nella fermentazione. – crediti fotografici Mario Stock 
Fermentazione delle drupe con aggiunta di lieviti ed enzima specifico proveniente dal mondo del vino. – crediti fotografici Mario Stock 
Uso di sonde per controllare che la fermentazione avvenga alla giusta temperatura – crediti fotografici Mario Stock
Considerato il clima umido, dovuto alla stretta vicinanza di questa farm con la lussureggiante foresta tropicale, la seguente fase di essicazione avviene al chiuso con l’ausilio di un essicatore e di strumenti che controllano l’umidità all’interno della drupa, l’essicazione può ritenersi conclusa quando questo valore raggiunge 11%.

L’ultimo processo è quella della tostatura, normalmente i paesi produttori di caffè nel mondo, esportano in verde, il che vuol dire che il caffè viene tostato in un secondo momento da aziende di torrefazione.
La verità è che le Hawaii rappresentano un’eccezione alla regola, perché la maggior parte delle farm tostano la gran parte della loro produzione di chicchi all’interno della loro sede, coì da avere il prodotto pronto da vendere al dettaglio ai locali e ai turisti, a km 0!
Voglia di Caffè freddo? Da noi lo Shakerato, alle Hawaii il Cold Brew!
L’intero articolo presuppone che nonostante alle Hawaii in ottobre ci siano trenta gradi, la voglia di caffè caldo non viene minacciata dalle alte temperature, perché il rito del caffè e la sua bontà vincono su tutto.
In ogni caso, ci sta pensare che in un caldo pomeriggio si possa avere voglia di rinfrescarsi, da noi una buona alternativa all’espresso bollente è il caffè shakerato, ovvero dell’espresso preparato con zucchero e agitato in uno shaker con del ghiaccio tritato; laggiù invece è molto apprezzato il Cold Brew.
Si tratta di un infuso di caffè preparato con acqua fredda, chiaramente affinché il risultato venga bene è fondamentale una preparazione molto lunga che ne accentua il valore.
Si può preparare con tutte le varietà, anche se viene preferita l’Arabica, l’importante è una macinatura grossolana e una macerazione a temperatura ambiente nell’acqua per ben 12 ore.
Alla fine, va filtrato prima con un colino e una seconda volta con un filtro di carta, si ottiene così un caffè molto concentrato, che viene diluito con acqua e a piacere qualche cubetto di ghiaccio, per rinfrescare le proprie membra!

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