La storia del caffè: quando una bevanda diventa cultura

Da secoli il caffè, battezzato anche come “il vino arabo”, vive in simbiosi con diverse culture e stili di vita. Ma da dove viene e come si produce? Scopriamo la storia del caffè.

Una mattinata come tante

Ho un bar di fiducia, dove il brusio delle chiacchiere e il cozzare delle tazzine in ceramica fanno da incipit alla giornata.

Quando mi siedo a scrivere, nell’attesa del mio caffè espresso, i miei occhi si posano sempre sui piccoli dettagli, quelli che forse nessuno vede. Oggi tutta la mia attenzione è per quei piccoli semi color cacao che vengono macinati poco per volta. E indulgo in un futile quesito: come ha fatto una cosa così piccola a conquistare il mondo?

Ma forse tanto futile non è. Perché in Italia entrare in un bar non è un semplice rito mattutino. È anche un atto culturale. Tant’è che in diverse città come Trieste vengono alla luce le “botteghe del caffè, porti sicuri per le menti di scrittori e poeti. Oppure a Napoli, dove il gorgoglio delle caffettiere è un’ode religiosa.

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La storia del caffè: la nascita.

Nel cuore del tavolato conosciuto come altopiano Abissino, un pastore agitava il suo vincastro contro le capre ribelli che si erano allontanate dal gregge, quando un capretto fece cadere vicino ai suoi sandali pieni di sabbia e terriccio, una bacca rossa.

Alzando lo sguardo vide altri ovini mangiare sotto a dei cespugli quei frutti color ciliegia. Sul volto dell’uomo si disegnò una maschera di dubbi; lui, che dopo decenni percorreva quei sentieri quasi tutti i giorni, non aveva mai visto quel frutto prima d’ora. Tuttavia, non se ne curò.

Di lì a poco, quel grano sarebbe stata la causa di una lunga notte. L’insonnia del malcapitato era dettata dai forti belati che uscivano dalla piccola capanna illuminata dai raggi della luna, mentre i tonfi delle corna contro le pareti in legno scandivano i minuti simili ad ore.

Che questa leggenda sia vera o meno, rivela il motivo per cui il nome “caffè” derivi da qahwa, ovvero “eccitante”, nome con cui gli arabi, intorno all’ anno 1000, chiamavano il progenitore dell’attuale bevanda: un infuso scuro ottenuto dai chicchi immersi nell’acqua bollente.

le drupe del caffè – crediti foto Canva

Ma come si fa il caffè?

Nonostante esistano molte specie, quelle più coltivate sono l’arabica e la robusta. La prima è l’antica varietà etiope, amata per il gusto ricco e l’aroma intenso mentre la seconda ha delle note che tendono all’aspro e all’amaro.

Quei chicchi che siamo soliti vedere sono i semi del frutto, conosciuti come “drupe” e trovano il loro clima ideale nella “cintura del caffè: una striscia di terra lungo tutto l’equatore dove la pianta impiega dai 3 ai 4 anni per diventare produttiva.

Poco importa se vengono coltivati tra i venti dei deserti africani o nei pressi delle foreste brasiliane.

Una volta raccolti, i frutti dovranno intraprendere una delle due strade. La prima è il cosiddetto metodo secco, dove vengono lasciati sotto al sole per diversi giorni. Ma la seconda, il metodo umido, è la più gettonata: qui le drupe vengono lavate e spolpate in appositi macchinari.

Di seguito i chicchi vengono messi a fermentare in vasche d’acqua per due giorni, durante i quali la mucillagine residua si separa completamente. Passato questo tempo, vengono fatti essiccare al sole o in essiccatoi meccanici.

Che si decida di optare per il primo o il secondo metodo, il risultato dovrà comunque passare in appositi locali per essere decorticato. Solo dopo questo passaggio questi semi carichi d’aromi potranno essere imballati come “caffè verde” e spediti in tutto il globo per ultimare la lavorazione.

Arrivati a destinazione, i chicchi subiscono l’ultimo processo: la torrefazione. Il caffè viene fatto tostare ad una temperatura compresa tra i 200°C e i 250°C, un passaggio fondamentale per donare il tipico profumo e aroma.

chicchi di caffè dopo la torrefazione – crediti foto Canva

La giornata comincia

Ed ora rieccoci qui, nel bar dove tutto è incominciato. E dopo esserci persi e immersi nella storia del caffè, mi rendo conto che sto assaporando una bevanda che ha dovuto aspettare anni prima di finire nella mia tazzina.

Ha attraversato deserti, mari e culture, fino ad entrare a gamba tesa nei piccoli gesti quotidiani.

Un viaggio durato secoli, solo per concedermi il lusso di una mattinata che profuma di tostato. E la giornata non poteva iniziare in modo migliore!

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Loris è cresciuto tra pentole e padelle in cucina con sua nonna nella Bassa Lodigiana, in un paesino di appena 900 anime. Questo però non gli ha impedito di uscire ed esplorare il mondo. Dopo essersi diplomato all’Alma è approdato infatti in diverse brigate anche stellate. Poi però quella vocazione per la scrittura, da sempre latente, ha preso il sopravvento e adesso si dedica anima e cuore a raccontare la cucina, dopo averla vissuta in prima persona, sapendo che anche il più umile dei prodotti ha una storia che merita di essere raccontata.

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