“Il sapore della felicità”, Umami: il film incontro tra Giappone e Francia

È in arrivo al cinema Il sapore della felicità, distribuito da Wanted Cinema. 

Un film prodotto in Francia, diretto da Slony Sow (Grenouille d’Hiver) e interpretato da Gérard Depardieu, Kyozo Nagatsuka, Sandrine Bonnaire, Pierre Richard e Bastien Bouillon (recentemente vincitore del César come miglior esordiente per La Nuit du 12).

Dopo aver aperto il Festival internazionale del film di Friburgo 2023, Il sapore della felicità è pronto ora ad accompagnarci in un delicato ma profondo viaggio culinario, culturale e introspettivo.

Un film, in uscita in tutti i cinema il 31 agosto, di cui consiglio senza dubbio la visione.

Il sapore della felicità” è infatti un’opera cinematografica che trasporta in un viaggio profondo e coinvolgente.

La storia affonda le radici non solo nelle differenze culturali e quindi culinarie ma anche e soprattutto nelle sfumature dell’animo umano e gli attori Gérard Depardieu e Kyozo Nagatsuka danno vita a personaggi che toccano il cuore.

La trama de “Il sapore della felicità”.

Locandina del film "IL sapore della felicità"
Locandina del film – crediti foto Wanted Cinema

Il protagonista principale (l’Eroe) è un grande chef stellato francese, interpretato da Gérard Depardieu.

Quando la sua salute e la sua vita familiare iniziano a sgretolarsi, il noto cuoco di fama mondiale, sull’orlo di una crisi emotiva (e alcolica) senza ritorno, decide di partire per il Giappone alla ricerca dell’uomo che quarant’anni prima lo aveva battuto in una gara di cucina. 

Il viaggio tra i sapori del Giappone lo costringerà a riflettere su se stesso, a fare un bilancio della sua vita e a guardare il futuro con occhi nuovi e con l’energia sino a quel momento perduta: vivere e non lasciarsi vivere.

Ma c’è di più, perchè i piani narrativi sono molti.

Alla ricerca dell’Umami.

Il film inizia con la cinepresa puntata su Gabriel Carvin, lo chef più famoso di Francia, a pochi giorni dalla sua terza stella.

Gabriel è dunque un cuoco all’apice della sua fama, però non è un uomo felice e non riesce a comprederne a fondo il perchè. Beve troppo, la moglie lo tradisce e ha un rapporto difficile con i due figli, il più grande dei quali, Jean, lavora con lui nel rinomato ristorante Chateaux: il ragazzo tenta di seguire le orme del padre senza ricevere da lui quasi alcun apprezzamento.

Quando il miglior amico di sempre, Rufus, tenta di alleviare la tristezza e apatia di chef Carvin, attraverso l’ipnosi, Gabriel improvvisamente ricorda un lontano trauma: un giorno di 40 anni prima quando, ancora ragazzo, venne sconfitto in una gara di cucina da uno chef giapponese con una semplice, ma perfetta, scodella di spaghetti in brodo: i noodles.

una scodella di Noodles
Una scodella di Noodles – crediti foto Canva

Capisce che forse la sua infelicità ha avuto inizio in quel momento; decide allora di partire per un avventuroso viaggio in Oriente.

Chef Carvin parte alla ricerca dell’Umami, codificato nel 1908 dal giapponese Kikunae Ikeda come un quinto sapore che va oltre l’aspro, l’amaro, il dolce e il salato.

Per Gabriel però l’Umami è molto di più: è il sapore legato alla ricerca della motivazione di quell’antica sconfitta e, grazie alla comprensione dell’essenza di quel misterioso quinto elemento del gusto, della felicità.

E infatti, “Umami” è il titolo originale del film di Slony Sow.

Il sapore della cultura giapponese.

Se il punto di svolta del plot è l’infarto di Gabriel, evento che lo costringerà a guardare allo specchio i propri demoni e la propria infelicità, il viaggio dell’eroe incomincia dopo la “rivelazione ipnotica”.

Da quel momento la drammaticità si intrecci alla commedia; lo spettatore parte per il Giappone assieme a Gabriel alla ricerca dello chef Tetsuichi Morita (Kyozo Nagatsuka), il detentore del segreto dell’Umami.

E la magia dell’oriente incanta scena dopo scena.

Tetsuichi lavora in un ristorante umilissimo, tanto che Gabriel inizialmente, incredulo e spaesato, crede di aver sbagliato luogo, ma invece è qui che il climax inizia a salire ed è quando i due uomini si incontrano e si scontrano che il cammino fisico e spirituale prende davvero inizio e giunge al cuore della trama.

Perchè alla fine il film “Il sapore della felicità” esplora le sfide dei due cuochi, ma anche di tutti i coprotagonisti e di noi uomini tutti. E’ una trama fatta di tanti fili rossi: vite che intrecciandosi comprendono i propri limiti, li accettano e superano paure e problemi, piccoli e grandi.

mano di domma che apre una pentola della cucina giapponese
crediti foto Canva

Ci sarà ad esempio la nipote di Takeshi che riconosce e affronta il buio della depressione grazie all’arrivo (partito in ricerca del padre) del figlio minore di Gabriel, Nino (Rod Paradot); ci sarà Jean a dover sostenere il peso del ristorante (e della critica) in assenza del papà…

E, soprattutto, ci sono le interazioni tra i due chef, che superano la barriera dell’incomprensione linguistica per farsi guidare dal linguaggio universale della cucina, ignaro anche alle diversità e ai limiti culturali.

L’esperienza di Gabriel incontra quella di Takeshi e i due, mano nella mano, attraverso assaggi di cultura e cucina orientale, raccontano, attraverso loro stessi, la miriade di sfumature della vita umana.

Ma qual è il segreto dell’Umami?

Boccone dopo boccone, l’Umami si rivela, anzi no, svela il suo significato più profondo.

Non è salato, non è dolce, non è amaro… l’Umami va al di là di ogni e di tutti i sapori; l’Umami ha la portata di tutte le sfumature della vita.

un piatto della cucina giapponese
crediti foto Canva

Il “grande significato” di questo lungo viaggio nei meandri dell’Umami? La felicità può essere trovata nell’espressione creativa e nella condivisione delle propre passioni.

Perchè se c’è qualcosa che accomuna la cultura giapponese a quella francese (ma anche a quella italiana) è la centralità del cibo e… il brusio felice della condivisione attorno a una tavola.

Lasciamo così i nostri personaggi de “Il sapore della felicità” seduti proprio attorno a un’enorme tavola imbandita.

Dal 31 agosto li troverete lì, pronti a raccontarvi una storia che riuscirà di sicuro ad accarezzare i cuori di molti spettatori.

Gérard Depardieu offre una performance capace di incarnare perfettamente il suo personaggio, con una interpretazione che trasmette il conflitto interiore e la passione che animano chef Carvin.

Kyozo Nagatsuka, nel ruolo di Takeshi, appare autentico e attraverso di lui lo schermo si permea di profonda connessione con la tradizione e la cucina giapponese.

La regia di Hiroshi Shimizu, infine, riesce a bilanciare abilmente le scene intime di riflessione con quelle più leggere e a volte quasi comiche.

Bellissimo il sapore contrastante tra la tranquillità giapponese e l’energia frenetica delle cucine francesi.

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IDEATORE E AMMINISTRATORE DI RISTORHUNTER - Giornalista pubblicista e scrittrice, Francesca è felicemente ossessionata dai racconti e dal potere delle storie: se infatti nessuno è in grado di contrastare la forza di gravità esercitata dalle storie, lei ne è sin dai primi anni di vita la prima vittima. Docente di "arte della narrazione" (anche applicata al mondo enogastronomico), che ama in verità definire "scrittura emotiva", crede che sia assolutamente vero che "Dio creò l'uomo perché gli piacciono le storie". Per Francesca insomma la scrittura è una cosa seria, perché scrivere significa dire quello che non riusciamo a dire e perché la scrittura è "un atto di conoscenza che si maschera di finzione".

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