Dai frutteti ai ristoranti: viaggio nella stagione più golosa dell’anno, tra cultivar dimenticate, abbinamenti insoliti e dolci con le ciliegie che sanno di casa.
I banchi dei mercati sembrano esplodere di rubini: sono le ciliegie, frutti impazienti che durano lo spazio di un desiderio.
Dolci, acidule, carnose, hanno conquistato proverbi, canzoni e mani di bambini con la stessa naturalezza con cui finiscono nei dolci della nonna o nei piatti di chef stellati.
Ma non tutte le ciliegie sono uguali. In Italia ne esistono oltre 150 varietà, molte delle quali rischiano l’oblio. C’è la Moretta di Vignola, la Sandra di Collina, la Bella Italia, e poi quelle che conosce solo chi le coltiva da sempre, spesso senza neanche un nome, ma con storie da raccontare.
E oggi che la cucina cerca autenticità, c’è chi ha deciso di ridare loro dignità, usandole in modi inaspettati: con la selvaggina, nei risotti, nei lievitati salati. Un ritorno al passato che sa di futuro.

Un frutto con radici antiche.
La storia delle ciliegie è più lunga di quanto si possa immaginare. Le prime testimonianze risalgono a migliaia di anni fa, ma fu Lucullo – sì, proprio il famoso generale romano sinonimo di banchetti sfarzosi – a portarle in Italia dall’Asia Minore nel I secolo a.C., dopo una campagna in Turchia, nella zona di Cerasunte (da cui il nome cerasum).
Da allora, le ciliegie hanno trovato terreno fertile lungo tutta la penisola, soprattutto nelle zone collinari dove il clima temperato favorisce una maturazione lenta e aromatica.
Nel Medioevo erano già un frutto pregiato, spesso presente nei giardini dei monasteri e negli orti dei conventi. Le varietà si sono poi moltiplicate nei secoli, dando origine a nomi pittoreschi, sovente legati a piccoli borghi o a famiglie contadine. Una biodiversità straordinaria, oggi minacciata dalla standardizzazione commerciale.

Piccole ciliegie, grandi storie: le varietà italiane da salvare.
Oggi l’Italia è uno dei principali produttori europei di ciliegie, eppure nei supermercati si trovano sempre le stesse poche varietà. Ma dietro le quinte, c’è un mondo da scoprire:
- Durone Nero di Vignola (Emilia-Romagna): una delle più note, dolce e compatta, ma rischia di essere soppiantata da cultivar più produttive.
- Sandra di Collina (Piemonte): piccola, scura e aromaticissima, raccolta a mano e quasi impossibile da trovare fuori dalla zona d’origine.
- Bella Italia (Campania): chiara, rosata, molto delicata, perfetta per conserve.
- Malizia (Puglia): tenera, succosa, dal sapore vinoso, ideale da mangiare fresca.
- Moretta di Celleno (Lazio): piccolissima e scurissima, ha un gusto quasi di liquirizia.
- Ciliegia di Lari (Toscana): presidio Slow Food, viene celebrata ogni anno da una storica sagra.
Queste ciliegie non sono solo frutti: sono identità territoriali, racconti agricoli, patrimonio da proteggere.

Dalla tradizione all’alta cucina: usi e abbinamenti sorprendenti.
Se una volta le ciliegie finivano quasi esclusivamente nelle crostate e nelle confetture della nonna, oggi chef e pasticceri le stanno riportando in cucina con creatività:
- In piatti salati: ridotte in salsa per accompagnare carne d’anatra, cinghiale o foie gras; oppure in chutney agrodolci con spezie e aceto di lamponi.
- Con i formaggi: deliziose con erborinati o caprini stagionati, magari servite sotto forma di composta o mostarda.
- Nella panificazione: nei pan brioche o nei grissini rustici, abbinando ciliegie secche e farina integrale.
- Cocktail e fermentazioni: macerate per creare sciroppi aromatici o utilizzate nei shrub estivi.
- In pasticceria: ritorna la clafoutis francese, ma anche gelati gourmet, ganache speziate e glasse per lievitati.
Un consiglio semplice ma efficace?
Ciliegie crude con un pizzico di sale e un filo di olio extravergine. Un antipasto che spiazza e conquista!
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