Terry Giacomello: la lotta allo spreco della cucina molecolare

La cucina molecolare.

C’è chi la ama e chi la odia, chi la comprende e chi la biasima, chi la idolatra e chi la disprezza. Qualunque sia la vostra opinione, l’importante e che sappiate e siate consapevoli che dietro la cucina molecolare non c’è solo alchimia e che i cuochi che praticano questo tipo di cucina non sono degli egocentrici e teatrali attori che seducono i clienti con magie e stregonerie e che… chissà cosa ci danno da mangiare! Perché sfere, gelatine, spume e cristalli, certo pronti a stupire e a volte scioccare, se guardate oltre la prima apparenza e sapete leggere i piatti, professano il perseguimento, oltre che di uno profondo e attento studio, anche di un’etica degna di stima e di esempio da seguire.

Terry Giacomello.

Forse non sarà vero per tutti, ma Terry Giacomello, friulano d’origine e oggi chef all’ Inkiostro di Parma, ha conservato nel cuore gli insegnamenti di mamma Wanda, che, gestrice di una locanda casalinga, lo ha fatto innamorare della cucina locale e tradizionale. Ex allievo di Ferran Adrià, oggi nei suoi piatti della tradizione non pare rimasto nulla, eppure non è così.

All’Inkiostro prepara e serve piatti che richiedono fino a 18 giorni di preparazione, tra disidratazioni, emulsioni, sotto vuoti, gelatificazioni, abbattimenti e spumantizzazioni; eppure, se studiate attentamente i suoi menu, vi accorgerete che gli ingredienti usati seguono solo ciò che la natura offre, stagione dopo stagione; e soprattutto, che ogni prodotto viene sfruttato al suo massimo possibile.

Servire un finto riso, i cui chicchi sono semi di mela, sbucciati a mano uno a uno, non è certo mania di grandezza; forse un po’ di sana pazzia sì. La cosa bella è che Terry Giacomello lo racconta con umiltà, quella naturale ma che ha anche imparato dai grandi maestri. Da loro ha appreso disciplina, professionalità, rigore, ma, soprattutto, l’arte di saper lavorare le materie prime, rispettandole e non rovinandole.

A questo si aggiunge la creatività, che, dice lui “costa cara“, costa tempo, fatica e impegno maniacale alla ricerca della perfezione.

Perfezione scientifica senza spreco.

Servire chicchi di semi di mela, cotti come un risotto con zuppa di olio di semi di mela, significa portare in tavola un piatto studiato nei minimi particolari che della mela sfrutta ogni essenza.

E questo è solo il primo esempio, che chef Giacomello ha raccontato alla Fiera Cucinare a Pordenone. Il midollo di prosciutto crudo viene servito con caviale di colatura di alici e mosto di fico; a tavola arrivano creakers accompagnati da una fialetta di olio estratto dal grasso di prosciutto rancido e ci sono anche delle finte mezze maniche, non di pasta, bensì fatte di brodo gelatificato che utilizza tutte le parti magre del prosciutto crudo, poi condite con olio rancido di prosciutto.

In cucina non si butta niente e dalle parti più povere di un prodotto possono nascere opere d’arte anche, che piaccia o no, della cucina molecolare.

Ma torniamo alla mela che, dopo ore, anzi giorni (cinque per la precisione) di lavorazione, si può trasformare in questo:

Una mela sbucciata e cotta nella calce viva: la parte esterna diventa dura, l’interno morbido. I semi vengono estratti (per essere usati nel finto risotto), poi la mela viene cotta nel lattosio e inoculata con della muffa (la stessa del formaggio brie), il cui batterio mangia il lattosio e forma una pellicola bianca. Dentro viene infine farcita con mela verde e semi di cardamomo.

Una mela ricoperta da muffa nobile, ma nobile non è solo la muffa…

 

 

Terry Giacomello a Cucinare. Per piacere, per mestiere, edizione 2018, stand Ascom.

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IDEATORE E AMMINISTRATORE DI RISTORHUNTER - Giornalista pubblicista e scrittrice, Francesca è felicemente ossessionata dai racconti e dal potere delle storie: se infatti nessuno è in grado di contrastare la forza di gravità esercitata dalle storie, lei ne è sin dai primi anni di vita la prima vittima. Docente di "arte della narrazione" (anche applicata al mondo enogastronomico), che ama in verità definire "scrittura emotiva", crede che sia assolutamente vero che "Dio creò l'uomo perché gli piacciono le storie". Per Francesca insomma la scrittura è una cosa seria, perché scrivere significa dire quello che non riusciamo a dire e perché la scrittura è "un atto di conoscenza che si maschera di finzione".

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