Vinitaly 2023: la strada del vino italiano verso i mercati esteri

Vinitaly 2023, la più grande manifestazione italiana dedicata al mondo del vino e dei distillati giunta alla cinquantacinquesima edizione, racconta un bilancio particolarmente positivo.

Oltre 4 mila espositori, 17 padiglioni ad ospitare vini italiani ma non solo.

Perché se i padiglioni dedicati alle regioni d’Italia sono stati 15, i Paesi espositori sono stati ben 30, con l’International Wine Hall a regalare ai visitatori un meraviglioso e rappresentativo assaggio di etichette internazionali.

Inoltre, l’area tasting ha proposto assaggi balcanici (Albania, Serbia e Macedonia), spagnoli, croati, austriaci, sloveni, bulgari, portoghesi e, ovviamente e immancabilmente, francesi.

A questi assaggi, infine, si è aggiunto il viaggio fuori Europa, con degustazioni di vini messicani, armeni, sudafricani e nordafricani.

I visitatori che dal 2 al 5 aprile hanno partecipato all’attesissimo evento a Veronafiere, hanno superato le 93 mila presenze, e di queste oltre 29 mila sono state straniere.

Il vino italiano alla conquista del mondo?

Quel che è certo è che nel 2022 le esportazioni hanno segnato un picco, con un volume d’affari attorno agli otto miliardi di euro. E le quasi 30 mila presenze estere al Vinitaly 2023 sono un segnale che fa ben sperare per il futuro.

E a proposito di futuro, un interessantissimo focus è stato portato all’attenzione dei presenti alla tavola rotonda su vino e Distribuzione Moderna, organizzata da Veronafiere il 3 aprile.

Qual è l’andamento del vino in questo 2023 flagellato dall’inflazione?

La ricerca Circana per Vinitaly 2023.

Nel primo trimestre del 2023 le vendite di vino calano a volume del 6,2% e quelle delle bollicine dello 0,5% (dati Circana, prime 11 settimane del 2023, I+S+Lsp+Discount+ E-Commerce Panel Circana).

Le tensioni inflazionistiche hanno causato un sensibile aumento dei prezzi: +7% il vino e +6,6% le bollicine; il che ha portato a far registrare un aumento delle vendite a valore dello 0,4% per il vino e del 6,1% per le bollicine.

I dati a valore naturalmente sono ingannevoli per via dell’inflazione, ma il canale del vino e delle bollicine nella Distribuzione Moderna rimane comunque rilevante nel mercato italiano, con 800 milioni di litri venduti per un valore di circa 3 miliardi di euro nel 2022.

andamento universo vini

La classifica dei vini e spumanti più venduti nel 2022.

Guardando alle classifiche di vendite per l’anno scorso, sul podio troviamo il Prosecco (Veneto e Friuli Venezia Giulia) con 46 milioni di litri venduti, il Chianti (Toscana) con 17 milioni di litri e il Lambrusco (Emilia Romagna) con quasi 17 milioni di litri.

Si fanno notare poi le buone performance del Nero d’Avola (Sicilia), al decimo posto con quasi 8 milioni di litri, del Pignoletto (Emilia Romagna), al dodicesimo posto con 6 milioni di litri, e del Primitivo (Puglia), al tredicesimo posto con quasi 6 milioni di litri.

vini e spumanti in bottiglia da 75cl: classifica (litri),  delle tipologie di vino più vendute anno 2022

La classifica dei vini “emergenti”, ovvero quelli col maggior tasso di crescita rispetto all’anno precedente, elaborata a valore, mostra invece la triade vittoriosa:

  • Ribolla (Friuli Venezia Giulia) con +12%;
  • Muller Thurgau (Trentino Alto Adige) con +10,0%;
  • Vermentino (Sardegna, Liguria, Toscana) con +9,9%.

E se i dati dell’intero comparto mostrano una flessione, a volume, del vino (-5,4%), la ricerca “Circana per Vinitaly” evidenzia anche che nella distribuzione e vendita di vino e bollicine negli USA e in Germania, l’Italia è il Paese con la maggior quota sugli scaffali.

Un dato non irrisorio, a confermare che la strada del vino italiano verso i mercati esteri si sta facendo sempre meno impervia.

Comunicare il vino italiano nel mondo.

I dati diffusi al Vinitaly 2023 e l’assaporare la molteplice e identitaria ricchezza dei vini italiani, attraversando gli stand regionali, portano a una obbligatoria riflessione.

La ricchezza di terroir e vitigni, la numerosità di etichette italiane, sono lo specchio della meravigliosa complessità del nostro Paese. Oltre cinquecento varietà che da sempre sono una ricchezza estremamente difficile da comunicare al mondo.

Il problema del vino italiano, infatti, è sempre stato quello dell’avere troppe cose da raccontare. Eppure, sono quelle “troppe cose” a fare la nostra bellezza e la nostra unicità.

Osservare le centinaia di etichette regionali tra gli stand e ascoltare i racconti dei produttori presenti, mi hanno riportato alla mente una citazione di Pierre Sansot:

“In campagna, dopo una giornata di lavoro, gli uomini alzavano il bicchiere di vino all’altezza del viso, lo osservavano, gli facevano prendere luce prima di berlo con cautela. Gli alberi centenari seguivano il loro destino, secolo dopo secolo, e una tale lentezza rasentava l’eternità”.

Quale famiglia di vignaioli italiani non riconoscerebbe la propria storia in queste parole?

Ogni singola etichetta d’Italia racconta la storia di un territorio, dei “loci” vocati a specifici vitigni e vini di qualità eccelsa; narra di culture e tradizioni, di sacrifici e passione, di amore e sapere tramandati…

Se la grande varietà di tutti questi ingredienti rende disorientate il consumatore estero, che conosce e riconosce solamente poche denominazioni e percepisce tutto il resto come frammentato, c’è una cosa che sempre ha affascinato e affascinerà i consumatori internazionali: il lifestyle italiano.

Eleganza e gusto, creatività, leggerezza, gioia di vivere. La “dolce vita” resterà ancora a lungo la nostra persecuzione, ma è proprio lei che ha portato il Prosecco ad essere oggi il vino più citato e conosciuto fuori dai confini italiani.

Vino italiano: qualità e valore simbolico.

La qualità del vino italiano è ormai fuori discussione, superiore persino al vino francese (ora possiamo dirlo), ma la leva per oltrepassare la conoscenza dei soli Barolo, Chianti e Prosecco, resta la visibilità sociale.

Perché molti consumatori esteri non conoscono davvero il vino italiano, ma ne sono attratti, e il motivo è che il vino è un prodotto ricco di significati simbolici.

Noi italiani, del resto, siamo i primi a bere vino soprattutto per il suo valore simbolico e culturale.

“Il suono morbido di un sughero che viene stappato dalla bottiglia ha il suono di un uomo che sta aprendo il suo cuore” scriveva William S. Benwell.

Sì, noi italiani lo sappiamo bene e ci piace visitare cantine proprio per ascoltare il cuore dei produttori, le storie delle loro famiglie, mentre ci raccontano un vino.

È su quelle storie che bisogna insistere per rendere ancora più agevole la strada verso i mercati esteri, per far arrivare anche fuori confine il giusto messaggio.

E per farlo arrivare forte, il messaggio, magari fare sistema: le Doc, le reti, le associazioni, i fil rouge che accomunano i nostri tanti preziosi produttori.

E se, come ha detto Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere, “nel tempo Vinitaly è divenuta uno dei luoghi privilegiati del dialogo tra le cantine e le insegne distributive, spesso caratterizzato da posizioni lontane”, per mostrare al mondo la ricchezza della nostra cultura vitivinicola, fiere di settore specializzate sono uno strumento di narrazione importantissimo.

Per favorire l’incontro, in un periodo non facile per le vendite del vino, il Vinitaly 2023 ha infatti già rinnovato la formula, “consentendo ai rappresentanti dei produttori di porre direttamente domande ai distributori, in modo che il confronto sia sempre più costruttivo”.

© Riproduzione riservata

Crediti foto: Francesca Orlando

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IDEATORE E AMMINISTRATORE DI RISTORHUNTER - Giornalista pubblicista e scrittrice, Francesca è felicemente ossessionata dai racconti e dal potere delle storie: se infatti nessuno è in grado di contrastare la forza di gravità esercitata dalle storie, lei ne è sin dai primi anni di vita la prima vittima. Docente di "arte della narrazione" (anche applicata al mondo enogastronomico), che ama in verità definire "scrittura emotiva", crede che sia assolutamente vero che "Dio creò l'uomo perché gli piacciono le storie". Per Francesca insomma la scrittura è una cosa seria, perché scrivere significa dire quello che non riusciamo a dire e perché la scrittura è "un atto di conoscenza che si maschera di finzione".

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