Casa di Grazia: quando l’uva si trasforma in lettere d’amore nel calice

I vini Casa di Grazia

Era l’autunno dell’uva.
Tremava la pergola numerosa.
I grappoli bianchi, velati,
coprivano di rugiada le sue dolci dita,
e le nere uve riempivano
le loro piccole mammelle traboccanti
di un segreto fiume rotondo.
(Pablo Neruda)

Il vino è come la poesia: indispensabile, una storia di cuori, una lettera d’amore. Ma se la poesia fa entrare il mare in un bicchiere, il vino in un calice ci mette la terra.

Casa di Grazia porta in quel calice la Sicilia, quella dell’antica colonia greca di Gela; un territorio ricco di calcare, baciato dalle acque salate del lago Biviere, lambito dalla brezza marina e scaldato dal sole del sud.

Una zona vocata alla viticoltura, sì, ma Casa di Grazia è una delle più grandi e importanti aziende siciliane, e, proprio come le poesia, narra molto di più. E si sa, chi vuole carpire i segreti della poesia deve recarsi nella terra del poeta.

Casa di Grazia a Gela

La prima lettera d’amore è quella che Maria Grazia di Francesco ha scritto al marito Angelo, cresciuto con l’amore per la vita di campagna trasmesso dalla sua famiglia, ma che il lavoro ha per anni costretto a prolungate assenze da casa. Maria Grazia lo osservava quando al suo rientro carezzava i grappoli e sussurrava alle foglie tra i filari e così si è sempre presa cura di quei figli di cuore di Angelo, diventando la vera anima dell’azienda.

Casa di Grazia le uve

E poi c’è la lettera d’amore che Maria Grazia e Angelo hanno scritto insieme: quel sogno realizzato che ogni giorno versano nei calici, il vino di produzione propria.

Sì perché per molto tempo l’attività è stata quella di sola vendita delle uve; uve che oggi, invece, raccontano nelle bottiglie una vera e propria eccellenza siciliana.

Dai bianchi ai rossi, passando per il rosè, ogni etichetta, già dal nome, narra una storia diversa: storie di terroir, di colori e sapori, di tradizioni, ma anche di vita, la loro vita, quella di Maria Grazia e Angelo.

Casa di Grazia Maria Grazia e Angelo

Victorya 1607 è un blend di Nero d’Avola e Frappato,non affinato in legno ma solo in acciaio, dal rosso ciliegia intenso e profumi di frutti a bacca rossa. Tannini morbidi e gusto armonico vogliono raccontare le donne. E’ un omaggio a Vittoria Colonna, che oltre 400 anni fa fondò la città di Vittoria regalando ai coloni vigneti da coltivare.

Ma Victorya è anche il vino più importante per Maria Grazia e il suo nome racchiude il ricordo di un momento per lei non facile, in cui continuava a ripetere a se stessa che doveva farcela e… vincere.

Casa di Grazia Victorya 1607, blend di Nero d'Avola e Frappato

Una degustazione a Casa di Grazia ti trasporta da momenti di gioia a quelli di pura euforia: Laetitya ed Euphorya, frappato monovitigno, vinificazione in rosso con macerazione delle bucce, rimontaggi brevi e frequenti durante la fermentazione tumultuosa, e bollicina rosè frappato vivace e morbido.

Con Adorè si passa alla fresca briosità di un moscato bianco marcatamente mediterraneo e poi si acquista una ricercata personalità con il Zahara, grillo monovitigno semplice ed essenziale.

Infine si vestono panni seducenti sorseggiando un vino dal carattere forte, Emiryam: Syrah monovitigno dalle qualità dirompenti, rosso rubino dalle sfumature violacee intensamente fruttato.

Casa di Grazia Laetitya

Vini che hanno già collezionato numerosi premi e riconoscimenti in importanti concorsi nazionali ed internazionali, vini che trasformano in pura magia la preziosità della terra siciliana, perché

La fermentazione è pura magia, perché sa trasformare un semplice grappolo d’uva in una pozione in grado di mutare il comportamento, sopprimere le inibizioni, annebbiare la vista e spalancare le porte di interi regni immaginari.
(Felipe Fernández-Armesto)

Casa di grazia Victorya

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IDEATORE E AMMINISTRATORE DI RISTORHUNTER - Giornalista pubblicista e scrittrice, Francesca è felicemente ossessionata dai racconti e dal potere delle storie: se infatti nessuno è in grado di contrastare la forza di gravità esercitata dalle storie, lei ne è sin dai primi anni di vita la prima vittima. Docente di "arte della narrazione" (anche applicata al mondo enogastronomico), che ama in verità definire "scrittura emotiva", crede che sia assolutamente vero che "Dio creò l'uomo perché gli piacciono le storie". Per Francesca insomma la scrittura è una cosa seria, perché scrivere significa dire quello che non riusciamo a dire e perché la scrittura è "un atto di conoscenza che si maschera di finzione".

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