Vini Schiopetto: storia sorso dopo sorso

INCONTRO CON ALESSANDRO ROTOLO.

“Se arriva un’occasione coglila. E se questa ti cambia la vita lasciala fare!”. Harvey Mackay

Forse era una di quelle mattine in cui il giorno, propenso a regalare luminose opportunità, si stirava lento e sorridente tra le larghe foglie delle viti e i grappoli d’uva maturi. Di sicuro era un giorno di vendemmia del 2013; il giorno in cui Carlo, Maria Angela e Giorgio, figli di Mario Schiopetto, mandarono a contattare Emilio e Alessandro Rotolo.

Così, dal 2 aprile 2014, la famiglia Rotolo si è fatta portavoce di una missione e filosofia produttiva che ha segnato un cambiamento storico.

Perché Mario Schiopetto è colui che ha reso grande il vino italiano nel mondo.

Da Volpe Pasini all’eredità Schiopetto.

Un delicato e rispettoso passaggio di eredità che vede Emilio Rotolo e il figlio Alessandro divenire paladini non solo di un personaggio, ma di un pensiero. Perché oltre a quella materiale, la vera eredità è quella spirituale. Ed è questa l’eredità che la parola “paladino” custodisce nel suo più profondo significato.

Alessandro Rotolo e il padre Emilio dell'azienda Agricola Schiopetto
Alessandro ed Emilio Rotolo

Ma c’è di più, ed è il patrimonio di un ambiente conservato.

Quella che stiamo raccontando, infatti, è una storia di vignaioli le cui vite sono legate dal profondo amore e rispetto per il territorio. E il territorio è, ancora una volta, il Collio.

Se per Mario Schiopetto il vino era vita ed ogni sua azione fu dettata dal desiderio di dare voce al territorio attraverso il vino, la famiglia Rotolo, prima di quel giorno di vendemmia del 2013, vantava già la fama di eccellente produttore di vini.

È nel cuore della Zona di tutela vini DOC Colli Orientali del Friuli, e precisamente a Togliano di Torreano, che nasce infatti la storia vitivinicola Rotolo, proprietari dal 1995 dell’Azienda Volpe Pasini.

Una filosofia di produzione che si condensa perfettamente in tre parole: piacevolezza, longevità e originalità. Laddove il termine “originale” parla di vino unico ed esclusivo perché capace di narrare quello e quel solo territorio in cui nasce.

Ed ecco la comunione di intenti a svelare la lunga mano del destino. Ed è presto detto il perché proprio i Rotolo furono destinati ad ampliare la loro attività a Capriva del Friuli, laddove Mario Schiopetto tutto aveva iniziato.

“Abbiamo colto con grande onore e rispetto l’opportunità di investire in quella che era la storia del Friuli Venezia Giulia – ci spiega Alessandro Rotolo -. Siamo entrati in questa cantina in punta di piedi, perché sin dall’inizio la nostra ottica è stata quella della continuità.

Portiamo avanti intatta la filosofia e la missione di Mario. Prendiamo quella storia e continuiamo a scriverla, in maniera molto educata, in chiave moderna”.

La storia di Schiopetto.

Una storia, quella di Mario, importante per il Friuli ma non solo e che ci piace ascoltare proprio dalle parole di Alessandro.

Alessandro Rotolo in vigna

Il Friuli vitivinicolo, enologico, si distingue nel prima e nel post Mario Schiopetto.

Fino agli anni Sessanta in Friuli e un po’ in tutta Italia il vino era il bianco e il rosso, in Friuli il Blanc e il Neri. Un mix di uvaggi, chiaramente in damigiana o comunque in recipienti diversi dalla bottiglia, corretto chimicamente. E la sua valenza era pari ad un qualunque ortaggio.

Mario gestiva, insieme al padre Giorgio, l’osteria Al Pompiere e veniva nel Collio a scegliere le partite di vino nelle varie cantine. Fu così che iniziò, da autodidatta, ad appassionarsi del mondo del vino. E nell’immediato dopoguerra, da persona curiosa quale era, decise di andare in Francia e in Germania, perché aveva scoperto che nei ristoranti delle più grandi città italiane si servivano pregiati vini francesi e tedeschi, vini in bottiglia!

Non avendo la possibilità economica per viaggiare, si fece assumere come camionista da una ditta di trasporti internazionale. Così, visitò l’Alsazia, la Borgogna, ma soprattutto la Mosella. Fu qui che strinse una forte e lunga amicizia con il professor Muller Spath, direttore di una grande azienda di macchine per la vinificazione e di una cantina sperimentale a Bad Kreuznach. Grazie a questa amicizia, Mario portò in Italia l’acciaio. Qua, dove si vinificava, da sempre, in recipienti di cemento e in legno”.

Mario l’innovatore.

Dopo le esperienze nel Nord Europa Mario Schiopetto, già innamorato del Collio, cercò proprio qui un lembo di terra in cui dare vita a un suo personale progetto vitivinicolo, dove poter piantare le barbatelle acquistate e mettere in atto le tecniche innovative apprese.

Chiese – continua Alessandro – di poter acquistare questa proprietà a Capriva, allora foraggio per la mensa arcivescovile. Dal 1963 la ricevette in affitto, fino al 1989 quando finalmente la curia arcivescovile gliela cedette in acquisto.

Fu qui che iniziò a fare la storia. Piantò non con il sapere contadino che sino ad allora c’era stato, bensì con scienza e coscienza, con quello che aveva imparato. Il Sauvignon Blanc nelle parti più basse, il ‘Tocai’, la Ribolla e il Pinot Bianco nelle parti più alte della collina e così via. Piantò soltanto mono varietali, cosa non comune a quei tempi. E nel 1965 mise il vino in bottiglia, con la tecnica dell’imbottigliamento sterile, che allora fu qualcosa di straordinario.

Il suo ‘Tocai’ del 1965 fu il primo vino fatto e vinificato totalmente in acciaio”.

Porta la firma di Mario Schiopetto la creazione del vino bianco friulano moderno. Così come furono opera sua l’introduzione di nuove tecnologie e di innovazioni rivoluzionarie, in vigneto come in cantina (quella cantina dove lui dispensò consigli e “segreti” a molti di coloro che oggi sono grandi e noti produttori).

Ed anche nella promozione e commercializzazione dimostrò animo innovativo. Perché se i vini Schiopetto divennero famosi in tutto il mondo fu solo grazie al suo genio.

Fece delle cartoline – racconta Alessandro Rotolo – in cui invitava all’assaggio dei suoi vini. Le spedì a tutti coloro che potevano avere la capacità economica di acquistare vino in bottiglia: notai, medici, professionisti; in tutta Italia. E iniziò ad andare personalmente ‘a casa’ di coloro che rimandavano la cartolina sottoscritta: portava loro i vini in assaggio.

Queste persone non solo si innamoravano del suo prodotto ma iniziarono anche a chiedere ai ristoratori, quando andavano a mangiare, se avevano bottiglie Schiopetto… Ed ecco nascere la leggenda Mario Schiopetto a livello commerciale!”.

La cattedrale del vino.

Era il 1992, proprio in occasione della festa inaugurale organizzata da Mario, quando Luigi Veronelli comunicò al mondo che era nata la prima cattedrale del vino.

E quella cattedrale è proprio quella che la famiglia Rotolo ha avuto in dote: cinquemila metri quadri di cantina sotterrata, creata sotto terra per non rovinare il paesaggio.

Una cantina pensata per essere efficiente e tecnologicamente avanzata, al fine di consentire la miglior resa delle uve. Al centro dei vigneti, è tra le pochissime al mondo ad essere totalmente circondata dalle proprie vigne.

Un luogo in stile Schiopetto, come lo sono i suoi vini e che ancora oggi Alessandro Rotolo orgoglioso racconta. Uno stile fatto di eleganza francese, tecnologia tedesca e uve italiane, anzi, uve del Collio!

La cantina Schiopetto

La stanza di Mario.

C’è una stanza speciale nella cantina Schiopetto dove i Rotolo custodiscono tutto il significato e la storia di questo nome.

È la stanza di Mario, in cui si lavora alla riproduzione e moltiplicazione di lieviti autoctoni. Una sala dei lieviti unica in cui si procede alla moltiplicazione, per tipologia di vino, dei lieviti per far partire il processo di fermentazione.

E poi c’è “il Mario”, come lo chiamano i Rotolo; il Collio DOC vertice qualitativo della Schiopetto, che prende vita da uve di Friulano impiantato dalla Curia Goriziana nel 1954, insieme a una piccola parte di Riesling, esposto nel versante a sud della proprietà.

Un vino vinificato in purezza nell’acciaio e che esce solo nelle grandi annate. L’espressione unica è la diretta conseguenza.

Le linee Schiopetto.

Di vini parlando, sono due le linee figlie di questa meravigliosa storia e, soprattutto, dell’arte vitivinicola dei Rotolo: la linea Mario Schiopetto (i Cru) e la linea del Pompiere, in ricordo dell’osteria di Mario e le cui etichette riportano, dopo lieve restyling, il camioncino stilizzato disegnato dallo stesso Mario e che vestiva il primo Tocai 1965.

E se in quasi tutte le cantine la linea base rappresenta l’80% della produzione qui si lavora al contrario. Perché sono i Cru a fare l’85%.

La linea del Pompiere – spiega Alessandro – è la linea fresca e il suo concetto vuole essere molto conviviale. La specificità è che i vini di questa linea provengono da vigneti che hanno una vita inferiore ai 35 anni.

Tutti i Cru provengono invece da vigneti che hanno un’età superiore ai 35 anni e questo fa capire che l’età media delle vigne è molto elevata”.

I cru sono cinque: il Friulano, che da sempre è per Schiopetto il vino più importante (il 55% degli ettari), il Malvasia, il Sauvignon, il Pinot Grigio e infine il Pinot Bianco, che è il secondo vino, in ordine di importanza anche storica, dell’azienda.

Pinot Bianco: storia nella storia.

Fu ancora una volta Veronelli a parlare di una dicotomia caratteristica degli affezionati ai vini Schiopetto: gli amanti del Friulano e gli amanti del Pinot Bianco.

E se Alessandro Rotolo ci svela di avere un’attitudine caratteriale più affine al Friulano, è anche (a portavoce della famiglia Rotolo) uno dei sette attori della Rete del Pinot Bianco nel Collio.

Anche in questo caso la misteriosa mano del destino ci ha forse messo le sue dolci grinfie, perché il Pinot Bianco Doc Collio Schiopetto è figlio di sette vigneti. Quel sette la cui forza esoterica pare accompagnare i protagonisti della Rete.

Alessandro si occupa in gran parte delle attività commerciali, ma con un Cru la cui prima annata risale al 1967 non può non farsi paladino, ancora una volta, della straordinaria longevità di questo vino.

Le sette famiglie della Rete si sono unite per raccontare il Pinot Bianco – svela Alessandro Rotolo -, per dargli forza economica e rinvigorire il mercato. Soprattutto i nostri sette vini, e i relativi vigneti, regalano un’orchestra di caratteristiche differenti che, tutte assieme, ben narrano il Collio.

Quando raccontiamo il Pinot Bianco di questo territorio riveliamo identità diverse che lavorano in armonia per dare risalto a una varietà che ha grandi capacità gastronomiche (perché il Pinot Bianco è un vino gastronomico) e anche di longevità.

Una delle cose che diceva sempre Mario Schiopetto è che

“un vino non è un gran vino se non è capace di ben invecchiare”

e questa è una caratteristica che il Pinot Bianco ha intrinseca.

Anzi, tra i vini che produciamo è quello che ha la longevità più alta. Noi ogni tanto apriamo addirittura qualche bottiglia degli anni ottanta”.

Ne sarebbe stato felice Mario Schiopetto. Il Pinot Bianco, arrivato oltre un secolo e mezzo fa dalla Borgogna (eleganza francese), ha trovato nel Collio uno straordinario territorio d’elezione. Vinificato in acciaio (tecnologia tedesca) regala nei calici, attraverso il suo arcobaleno di sfumature aromatiche, tutte le caratteristiche proprie del Collio (uve italiane).

Avrebbe così fatto di certo parte anche Mario del gruppo delle sentinelle della Rete, pronto a trasformare il Pinot Bianco da comprimario a protagonista assoluto!

Crediti fotografici: famiglia Rotolo.

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IL PINOT BIANCO DI SCHIOPETTO

Il Pinot Bianco Collio DOC di Schiopetto è un vino che racconta la cura per il dettaglio.

Naso e bocca raccontando un bianco in cui personalità e carattere sono svelati da un sorso di corpo, caloroso.

Gli acini vengono pressati sofficemente, e il La raccolta di queste uve è manuale, la pressatura soffice a cui segue un breve periodo di decantazione in totale assenza di anidride solforosa.

La fermentazione avviene in vasche inox con innesto di pied de cuve a temperatura controllata, mentre l’affinamento successivo si compie sui lieviti per 8 mesi.

Giallo paglierino brillante alla vista, al naso rivela note fruttate, arricchite da rimandi floreali e tocchi più speziati sul finale.

Una struttura decisa, un’impronta sapida e ottima persistenza.

Un’etichetta importante, blasonata, che riesce a esprimere il potenziale del varietale su livelli qualitativi davvero alti: un bianco friulano assolutamente da provare.

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IDEATORE E AMMINISTRATORE DI RISTORHUNTER - Giornalista pubblicista e scrittrice, Francesca è felicemente ossessionata dai racconti e dal potere delle storie: se infatti nessuno è in grado di contrastare la forza di gravità esercitata dalle storie, lei ne è sin dai primi anni di vita la prima vittima. Docente di "arte della narrazione" (anche applicata al mondo enogastronomico), che ama in verità definire "scrittura emotiva", crede che sia assolutamente vero che "Dio creò l'uomo perché gli piacciono le storie". Per Francesca insomma la scrittura è una cosa seria, perché scrivere significa dire quello che non riusciamo a dire e perché la scrittura è "un atto di conoscenza che si maschera di finzione".

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