Azienda Agricola Livon: la donna alata del Collio

INCONTRO CON MATTEO LIVON.

Per il terzo dei sette viaggi alla scoperta dei produttori della Rete del Pinot Bianco nel Collio è Matteo Livon a farci compagnia, pronto a parlarci della sua famiglia e a narrarci la storia dell’Azienda Agricola Livon.

Siamo a Dolegnano e Matteo è seduto a un generoso tavolo, in una stanza colma di bottiglie pronte a partire per rivelare con orgoglio a tutto il mondo i profumi e i sentori di una passione familiare nata oltre cinquant’anni fa.

Ma prima della sua voce, delle sue parole, sono le etichette delle bottiglie a farci iniziare il viaggio. La Donna Alata di Ertè, dal 1985 simbolo e logo dell’azienda, disegna infatti immediatamente un filo rosso tra l’arte e il mondo del vino.

In ogni tempo artisti e letterati si sono dedicati al vino, officiandolo, osannandolo e, perché no, usandolo come musa ispiratrice. Per Baudelaire fu un compagno di viaggio dell’anima, celebrato in ben cinque poesie, ma gli omaggi al vino non si esauriscono certo al poeta maledetto: Orazio, Manzoni, Goldoni, i filosofi, da Socrate a Schopenhauer, e ancora le penne di Goethe, Ovidio, Bukowski, De Amicis…

Ma osservando il logo di Livon è la frase dello scrittore Scozzese Robert Stevenson a fare capolino alla mente:

Il vino è poesia imbottigliata”.

Perché quelle etichette sono un altro pezzetto di storia e cultura di questo Collio che attraverso la Rete stiamo conoscendo; perché stiamo ascoltando racconti sul vino che si intrecciano ad altre storie, che sono quelle di tante vite che a lui si sono dedicate e si dedicano ogni giorno.

Di vino e di altre storie” sarebbe un sottotitolo perfetto per questo libro che i sette vignaioli del Collio stanno scrivendo e se il vino resta il protagonista, nulla racconterebbe senza i suoi fedeli genitori coprotagonisti. È grazie a loro che il Pinot Bianco diventa poesia imbottigliata e la famiglia Livon è un altro verso sostanziale e indispensabile di questa poesia.

Matteo Livon e le 300 bottiglie di Pinot Bianco.

L’anno di nascita di Matteo Livon è lo stesso anno che stigmatizza ufficialmente l’amore di questa famiglia per il Pinot Bianco. Papà Valneo, infatti, scelse proprio questo vino per omaggiare e celebrare l’evento. E non un semplice brindisi di benvenuto…

“La prima cantina di famiglia – racconta Matteo – era a Vencò, sotto l’attuale vineria che un tempo era lo spaccio di vendita di nonno Dorino. Fu lì che papà quando nacqui mise da parte circa trecento bottiglie di Pinot Bianco d’annata. Era vinificato in solo acciaio e di sicuro non pensava che queste bottiglie potessero venire aperte e degustate dopo tanti anni… E invece ci hannno fatto scoprire la magia del Pinot Bianco: aprire un 1988 dopo dieci, quindici, vent’anni e ritrovarlo buonissimo. Stappare le prime bottiglie fu un gesto in mio onore, poi diventò anche e soprattutto un gesto in onore del Pinot Bianco!”.

“Credo che sentire papà raccontare questa storia molte volte – continua –, conoscere il legame tra la mia nascita e l’aver appreso la grande capacità di invecchiare di questo vino, mi abbia fatto amare il Pinot Bianco più di tutti gli altri vini. Ancora oggi ogni nuova bottiglia del 1988 aperta è una rinnovata e diversa sorpresa: i profumi, il colore… quando ne apriamo una alla cieca in degustazione chi si avvicina di più all’indovinare l’annata sbaglia almeno di vent’anni! È un vino sbalorditivo ed è per questo che con orgoglio siamo entrati a far parte del progetto Rete voluto da Marco Felluga”.

Da Dorino Livon alla terza generazione.

Se le trecento bottiglie 1988 di Pinot Bianco sono il simbolo dell’amore della famiglia Livon per questo vitigno, per comprendere a fondo l’amore per la propria terra, il Friuli, e per il Collio, dobbiamo tornare agli inizi, a nonno Dorino e al primo terreno acquistato su queste colline.

“Nonno Dorino – ricorda Matteo – faceva parte di una famiglia contadina, ma il suo primo lavoro fu in una ditta di trasporti di legname. Andava a prendere il legno in Slovenia e lo portava qua. Poi, col boom dell’industria, mentre tutti abbandonavano le campagne e le colture, lui nel 1964 acquistò il primo appezzamento di terreno a Ruttars, in comune di Dolegna del Collio. È lì che abbiamo ancora oggi la parte più bella dei vigneti ed è peraltro lì che produciamo anche il Pinot Bianco. Da quel primo terreno poco a poco se ne aggiunsero altri, fino all’entrata in azienda di mio padre Valneo e zio Tonino. Con loro arrivarono nuove idee e strategie, il puntare sulla qualità, raccontato da allora dal nostro logo. Poi, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, si resero conto che per essere competitivi bisognava osare di un altro passo. Acquistarono due aziende fuori dal Friuli, ma in terre vocate al vino quanto la nostra: Borgo Salcetino in Toscana, nel Chianti Classico, che produce solo vini rossi, e Fattoria Col Santo in Umbria, a Bevagna, zona D.O.C.G. Montefalco: Sagrantino, Sangiovese, Merlot ma anche Trebbiano Spoletino”.

Oggi la famiglia Livon conta circa 45 ettari vitati in Collio, ma c’è anche l’antica Locanda Villa Chiopris, nello splendido anfiteatro dei Colli Orientali del Friuli, acquistata nel 2003 e riportata agli antichi splendori di tenuta nobiliare. Un luogo di eventi e di incontri ma anche padre dell’omonimo vino.

Da un appezzamento a un impero potrebbe pensare qualcuno. Eppure Livon è ancora un’azienda a conduzione familiare. Ci tiene a sottolinearlo Matteo, neo papà e dal 2021 socio amministratore dell’Azienda: “È una responsabilità di cui vado molto fiero! Oggi produciamo in tutto circa 900 mila bottiglie e per un’azienda familiare è davvero un bel numero. Crescendo dentro questo mondo ho capito presto che dietro un bicchiere di vino c’è tantissimo. Ho assistito alla fatica, al sudore, al duro lavoro di nonno, papà e zio ed ora avere l’onore di poter continuare la storia della famiglia mi rende davvero orgoglioso”.

La donna alata di Ertè.

È arrivato il momento per Matteo di poter spiccare davvero il volo, proprio come le ali della donna di Ertè sulle bottiglie raccontano. La donna alata è infatti un logo che narra di qualità e amore, scelto da Valneo Livon negli anni Ottanta per simboleggiare molto più di un bel vestito per una bottiglia.

“Papà – spiega Matteo – è sempre stato molto affascinato da questo artista russo, Roman Petrovič Tyrtov, alias Ertè. Fu uno dei più importanti in epoca Decò.

Mio padre e zio Tonino erano alla ricerca di un logo che rappresentasse la nostra famiglia e un giorno papà stava sfogliando un libro di opere di Ertè regalatogli da un amico e vide questo disegno: è un 5 specchiato, a formare una C, il Collio. La parte superiore della lettera è, appunto, una donna alata a seno nudo. Una nudità che negli anni Settanta fece sì che un container di Pinot Grigio venisse bloccato dalla dogana americana. Dovettero disegnare col pennarello dei piccoli reggiseni bottiglia per bottiglia, su ogni etichetta – sorride -, per non dover far tornare indietro il vino. Un aneddoto che rimarrà nella storia!

Dopo tanti anni questo logo è diventato riconoscibile e lo usiamo anche senza la scritta Livon: significa vino di qualità che racconta la sua terra, il Collio”.

A oltre cinquant’anni da quel primo terreno acquistato da Dorino Livon quel logo è oggi forse ancora più significativo che mai, perché la terza generazione ha nel cuore e a cuore non solo la continuità della famiglia ma anche e soprattutto la continuità dei valori e dell’amore, che sono la vera forza che ha fatto conoscere il marchio Livon a livello internazionale.

Ha proprio ragione Matteo: dietro un calice di vino c’è tantissimo…

Crediti foto: Azienda Agricola Livon.

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Il Pinot Bianco di Livon


Pinot Bianco Cavezzo Doc Collio

PINOT BIANCO CAVEZZO DOC COLLIO.

Dal 2018 il Cavezzo è la linea tornata in auge per le cantine Livon.

Con una vendemmia effettuata interamente a mano in cassette, l’uva subisce una pressatura soffice e una successiva fermentazione: il 20% in barrique di rovere e l’80% in acciaio a temperatura controllata.

Terminata la fermentazione, il prodotto non viene travasato, ma rimane a maturare negli stessi contenitori per circa sette mesi ad una temperatura costante.

Concluso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio definitivo e l’imbottigliamento.

Una volta in bottiglia, segue un ulteriore periodo di affinamento.

Il colore di questo vino è giallo paglierino dorato e al naso risulta intenso e complesso.

Note di gelsomino ed acacia, ma anche di mela e pesca.

Il gusto è elegante e pieno, per un vino sapido, fresco, di buon corpo e lunga persistenza.

Ottimo per accompagnare antipasti strutturati e primi piatti con fondi di carne.

Ideale con i secondi di carne bianca ai ferri o in intingolo.

Ma non disdegna le degustazioni con il pesce e sposa anche i formaggi di diverse stagionature. Insomma, un vino ottimo dall’aperitivo a tutto pasto!


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IDEATORE E AMMINISTRATORE DI RISTORHUNTER - Giornalista pubblicista e scrittrice, Francesca è felicemente ossessionata dai racconti e dal potere delle storie: se infatti nessuno è in grado di contrastare la forza di gravità esercitata dalle storie, lei ne è sin dai primi anni di vita la prima vittima. Docente di "arte della narrazione" (anche applicata al mondo enogastronomico), che ama in verità definire "scrittura emotiva", crede che sia assolutamente vero che "Dio creò l'uomo perché gli piacciono le storie". Per Francesca insomma la scrittura è una cosa seria, perché scrivere significa dire quello che non riusciamo a dire e perché la scrittura è "un atto di conoscenza che si maschera di finzione".

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